Coltivazione di Salvia divinorum
Questo articolo è stato tratto da Psicoattivo, con modifiche minori.
Per la discussione vai nel topic sul forum
Partendo da una talea senza radici
La prima cosa da fare per ottenere una talea da un frammento di ramo è orientarlo correttamente dall’alto in basso. Se avete un frammento della cima, o se ci sono foglie o germogli l’orientamento è evidente siccome le foglie e i germogli crescono verso l’alto. Tuttavia, essendo la Salvia divinorum una pianta molto sensibile, non è raro che una talea lasci cadere foglie e germogli. In più, può darsi che il vostro frammento provenga dalla parte centrale di uno stelo, senza la punta che vi aiuta ad orientarlo correttamente.
Un metodo che elimina la necessità di determinare l’orientamento del taglio a metà gambo è quello usato da Daniel Siebert, la prima persona che sperimentò gli effetti dell’estratto salvinorin A, il principio attivo della pianta.
Prendete semplicemente una talea ottenuta dalla parte mediana dello stelo che contenga almeno un nodo e rimuovetene tutte le foglie grandi; appoggiatelo orizzontalmente su terriccio ricco e bagnato e ponete il tutto in una camera umida (vedi prossimo capitolo).
Lo stelo formerà radici per tutta la sua lunghezza ed emetterà due nuovi getti per ogni nodo (Siebert 1998).
Se non usate la tecnica sopra descritta, è necessario stabilire quale estremità dello stelo tagliato vada rivolta verso l’alto. Per fortuna, non appena vi sarete resi conto di star cercando l’estremità dell’uscita, per orientare correttamente la talea basterà un po’ di spirito d’osservazione.
Esaminate i nodi (cioè i punti dove lo stelo, altrove snello, si fa bulboso e dal quale spunteranno poi le foglie e i germogli laterali).
Quando è orientato nella maniera giusta, il segmento al di sopra di ogni nodo è, di solito ma non sempre, di una circonferenza lievemente inferiore a quella dello stelo al di sotto del nodo. In altre parole, i segmenti di stelo di norma si assottigliano verso la cima della pianta. Un attento esame di ogni nodo rivelerà cicatrici fogliari inclinate verso l’alto, ossia le “spalle” dalle quali spuntano i nuovi germogli.
Una volta stabilito il verso giusto nel quale rivolgere la vostra talea, il prossimo passo sarà prepararla ad emettere le radici.
Costruire una camera di radicazione
Far radicare e crescere una Salvia divinorum è molto più facile se le create un ambiente umidissimo. Così, a meno che non viviate in un ambiente naturalmente umido, raccomandiamo caldamente di preparare una camera umida per ospitare la fragile talea mentre produce le radici.
Abbiamo fatto fare le radici a centinaia di talee di Salvia divinorum dentro ad acquari usati da circa 380 litri. Per trasformare un acquario in una camera umida, basta misurarne il perimetro e procurarsi un pezzo di vetro che vi si adatti esattamente per fare da coperchio. Date all’acquario una bella lavata usando una spugna pulita e aceto. Rimuovete con particolare cura ogni vecchio deposito di alghe o fungosità che possano essere rimaste appiccicate ai vetri dai tempi in cui l’acquario era abitato dai pesci; incollate o fissate col nastro adesivo un pezzetto di legno al vetro che fa da coperchio per usarlo come maniglia.
Col coperchio di vetro chiuso e una densa nebbia che quotidianamente verrà introdotta con uno spruzzatore di plastica pieno d’acqua distillata, la vostra camera umida costituirà l’ambiente perfetto per le giovani e fragili talee.
Radicazione in acqua
Far crescere le radici in acqua è il sistema più comunemente usato ed efficace per ottenere una talea di Salvia divinorum. Se seguirete fedelmente le seguenti istruzioni, è praticamente a prova d’errore.
Prendete una bottiglia, un vaso o un qualsiasi contenitore per liquidi alto e sottile.
La Salvia divinorum emette abbondanti radici lungo tutto lo stelo, non solo dai nodi.
Idealmente, il vostro recipiente dovrebbe essere alto circa i 2/3 della lunghezza della talea.
Raccomandiamo caldamente di usare un vaso per ogni talea; in questo modo, ogni stelo che dovesse marcire resterà isolato. Un coltivatore che conosciamo usa bottiglie da birra sterilizzate (Hanna 1998).
Tenute nelle loro confezioni da sei, esse sono vasetti da radicazione efficienti e salvaspazio e possono essere maneggiati a sei per volta. Le talee che hanno foglie o rametti laterali verranno appoggiate al collo della bottiglia in modo che la parte immersa, che deve fare le radici, resti interamente sospesa.
Se usate a questo scopo le bottiglie della birra, dovete tenere presenti due cose. Per prima cosa, assicuratevi di averle pulite accuratamente, poiché anche il minimo residuo di birra aumenta grandemente il rischio di far marcire la talea. Per seconda, la quantità relativamente esigua d’acqua contenuta in una bottiglietta di birra, unita al fatto che la maggior parte di queste sono di vetro scuro, aumenta il rischio di non accorgersi che il livello del liquido è diventato troppo basso. Questo pericolo è maggiore se si tengono le bottiglie nelle confezioni da sei. Quindi, di tanto in tanto guardate il livello dell’acqua e rabboccatela se necessario.
Riempite i vostri vasetti da radicazione con acqua distillata a temperatura ambiente. (Fatelo prima di mettere i rametti nei vasi, per evitare di versare accidentalmente l’acqua nella cavità dello stelo, aumentando così le probabilità che marcisca).
Non raccomandiamo di usare prodotti per favorire il radicazione. Non soltanto molti di questi sono tossici, ma non li abbiamo trovati necessari. Se proprio volete, consigliamo Olivia’s Cloning Gel, una mistura bilanciata di agente radicante e fertilizzante in una base di gel viscoso e solubile in acqua, che sigilla il taglio dello stelo e può aiutare a proteggerlo dalle infezioni
Un trucco da vecchio giardiniere consiste nel mettere nell’acqua con le talee che volete far radicare anche un rametto fresco di salice peloso (Salix discolor) o di salice cavatappi (Salix matsudana).
I salici sono forti produttori di auxina, un ormone della crescita solubile in acqua.
(i rami di salici posti nell’acqua infatti cominciano a formare le radici in meno di due giorni). Siccome l’auxina si scioglie, essa fluisce dagli steli tagliati di salice e viene assorbita da quelli di Salvia divinorum, inducendo così la formazione delle radici.
Rami freschi di questi due tipi di salice sono reperibili presso molti fioristi.
Lo svantaggio nell’usare i rami di salice è che potreste involontariamente introdurre agenti patogeni nell’acqua.
Certi coltivatori lavano le loro talee con un prodotto antifungino per ridurre il rischio che gli steli marciscano. Noi non lo riteniamo necessario, a patto che si usi come liquido soltanto acqua distillata e che i vasi siano perfettamente puliti. Un’alternativa al fungicida commerciale consiste in un cucchiaio da tavola di candeggina diluito in circa 4 litri d’acqua.
Se la vostra talea non è stata staccata bene dalla pianta madre, prendete una lama affilatissima e tagliatela di nuovo, circa 6 mm sotto il nodo più basso. Assicuratevi che la talea sia voltata dalla parte giusta prima di tagliarla. Subito dopo aver eseguito il taglio, immergete con cautela la talea nel vaso pieno d’acqua che avrete preparato. Ci devono essere almeno un nodo che sporge sopra il livello dell’acqua e almeno uno immerso.
Sistemate immediatamente il vaso nella camera umida e somministrate alla talea qualche schizzo d’acqua con l’apposito spruzzatore a mano.
Aspettando che si formino le radici
La vostra talea da adesso rimarrà per tutto il tempo nella camera umida. L’optimum è che possiate mantenerne la temperatura interna attorno ai 21°C. La camera deve ricevere una buona illuminazione, ma non il sole diretto.
L’umidità nel suo interno dovrà avvicinarsi al 100%. Questo si ottiene facilmente aprendo ogni tanto il coperchio e spruzzando all’interno acqua distillata a temperatura ambiente. Si può combattere lo stress e favorire la crescita delle radici con un fertilizzante fogliare una volta al giorno. Per fare questo, riempite un altro spruzzatore con un quarto di dose di Stern’s Miracle Gro o di Earth Juice insieme a due cucchiai da tavola di estratto d’alghe ogni 4 litri circa. Ogni volta che annaffiate o concimate, sventolate l’interno della camera umida un po’ prima di spruzzare, per una benefica circolazione dell’aria.
Secondo la nostra esperienza, seguendo questi suggerimenti e tenendo la camera alla luce indiretta del sole o sotto luci chiare fluorescenti (di notte è meglio il buio), la talea farà le radici in due o tre settimane. Potrete anche osservare la crescita di nuove foglie e rametti laterali.
Il primo segno della comparsa delle radici sono certi foruncoletti bianchi piccoli come punte di spillo che appaiono lungo lo stelo. Qualche giorno dopo essere comparsi, inizieranno ad allungarsi trasformandosi presto in radichette sottili e delicate. Nella camera umida, con le spruzzate d’acqua quotidiane, non è raro che queste radici si formino al di sopra del livello dell’acqua e si protendano nell’aria umida, simili a dendriti neurali.
Quando le radici avranno raggiunto una lunghezza di circa 2,5 cm. sarà ora di piantare la talea nel terreno. Lasciarle crescere oltre sembra renderle più sensibili agli urti e aumenta le possibilità che lo stelo marcisca.
Piantare nel terreno
Una volta che la vostra talea abbia emesso le radici nell’acqua, il prossimo passo sarà piantarla nel suo primo vaso di terra. Prendetene uno abbastanza alto da coprire di terra tutte le radici appena formate. Deve avere un drenaggio sufficiente: diversi buchi tutto intorno alla base sono meglio di uno solo al centro.
Una Salvia divinorum sana produce alla svelta una gran massa di radici. Raccomandiamo che il primo vaso sia di capacità non inferiore a quattro litri per evitare di dover rinvasare troppo presto. Noi di solito facciamo partire le nostre talee direttamente in vasi da quaranta litri (o più) e in questo modo evitiamo del tutto di doverli cambiare in seguito.
Per la Salvia divinorum usiamo vasi di plastica e non di coccio. Dalla nostra esperienza, la terracotta permette più evaporazione dai lati di quanta ne occorra. Il terriccio nei vasi di plastica si asciuga più lentamente e l’acqua è costretta ad evaporare dalla superficie esponendo così la parte inferiore della pianta a un sottilissimo massaggio dal basso verso l’alto. Assicuratevi solo di non annaffiare troppo perché i vasi di plastica favoriscono il marciume delle radici più di quelli di terracotta.
Una volta preparato il terriccio (vedi capitolo), riempite il fondo del vaso, poi appoggiatevi delicatamente la base della talea e spargete manciate di terra tutto intorno allo stelo, facendo molta attenzione a non strappare o danneggiare i sottili peli radicali. Compattate gentilmente la terra attorno alla talea finché le radici siano coperte e che almeno un nodo sporga dal terreno, che deve essere fermo ma non troppo compresso.
Una volta nella terra, date alla pianta una bella innaffiata molto lenta mescolando all’acqua (l’acqua distillata non serve più) emulsione di pesce in proporzione pari a metà del quantitativo consigliato sulla confezione.
Subito dopo, rimettete la pianta invasata nella camera umida o sotto una tenda umida (come vedremo nel prossimo capitolo).
Costruire una tenda umida
La camera umida precedentemente descritta è di grandissimo aiuto per far emettere le radici alle talee. Ma è troppo piccola e, essendo fatta di vetro, troppo fragile per ospitare le piante in vaso. Quindi consigliamo vivamente che, prima di invasare la vostra talea, prepariate un ambiente più grande ad umidità controllata, che chiameremo una “tenda umida”.
Piccole tende umide, alte circa 90 cm, fatte di plastica e somiglianti a ombrelli oblunghi chiusi alla base, si possono trovare presso i vivaisti o i grossi commercianti di articoli per il giardinaggio. Queste tende vanno benissimo per le giovani piante di S. divinorum. L’umidità può essere tenuta sotto controllo sia per mezzo di un piccolo umidificatore a ultrasuoni regolato da un timer sia, più semplicemente, usando qualche volta al giorno lo spruzzatore. Non ci vorrà molto tempo, però, perché la vostra pianta si trovi alle strette in una tenda così piccola.
Un ottimo ambiente a umidità controllata, capace di ospitare una dozzina o più di piante mature di S. divinorum, può essere realizzato spendendo circa £ 300.000 per una specie di gazebo, reperibile nei grandi negozi di articoli da campeggio. Questi gazebo servono a fare ombra e a proteggersi dalle zanzare durante i picnic, e hanno la parte superiore di tessuto e le pareti completamente schermate da un tessuto a trama rada.
Il tipo migliore per i nostri scopi non ha la base, ma è completamente avvolto dal tessuto e gli ingressi si chiudono con zip di buona qualità. La tela lascia entrare la luce filtrata del sole ed aiuta a mantenere l’umidità, mentre permette una buona circolazione dell’aria. Un altro vantaggio di questo tipo di tenda è che gli insetti benefici liberati al suo interno rimangono nei pressi della pianta ben più a lungo di quanto non farebbero all’aperto.
Il coltivatore che sceglie questa soluzione vive in un clima arido che di solito tocca i 35°C durante l’estate. Si procurerà un gazebo e lo attrezzerà con un rudimentale sistema di innaffiatura dotato di cinque beccucci spruzzatori appesi in alto e alle pareti interne. Aprendo l’acqua poche volte al giorno per pochi minuti (si può provvedere con un timer), crea un ambiente perfetto nel quale la Salvia divinorum prospera. (Boire 1997).
Tutti quelli che hanno visto la nostra tenda umida a tutto tondo (attrezzata come descritto) è stato sorpreso da quanto l’ambiente fosse adatto alla S. divinorum: le foglie delle nostre piante sono lunghe tra i 18 e i 25 cm. Se vivete in un posto eccessivamente arido, caldo, soleggiato o ventoso, vi raccomandiamo con forza l’uso di una tenda così. Non serve solo a coltivarvi la S. divinorum, ma anche molte altre piante dal retaggio sciamanico.
Nei mesi invernali, la tenda verrà coperta con di fogli di plastica leggera (tipo quelli che usano gli imbianchini). Là dove l’inverno è mite, con questo sistema avrete una serra economicissima ma funzionale nella quale le vostre piante potranno superare la brutta stagione. Giunta la primavera, ritaglierete nella plastica finestre sempre più larghe per modulare la temperatura interna e la relativa umidità, finché, nel giro di qualche settimana, la copertura di plastica non verrà del tutto eliminata.
Coltivare fuori dalla tenda umida
Contrariamente a quello che molti credono, è possibile far crescere la S. divinorum al di fuori di un ambiente a umidità controllata, ci vogliono solo un po’ di cure e di attenzioni.
Molti coltivatori vi hanno rinunciato dopo aver tolto una pianta da un ambiente a umidità controllata e averla trovata completamente avvizzita dopo appena un’ora.
Il trucco per far crescere la S. divinorum fuori da un ambiente a umidità controllata consiste nell’”indurirla” con cautela. Crescere in un ambiente controllato rende le piante “molli” e meno capaci di reagire ai cambiamenti ambientali, ma se le aiutate ad ambientarsi poi saranno in grado di farlo.
Non togliete mai una S. divinorum dal suo ambiente controllato per lasciarla all’aperto tutto in una volta sola. Dovrete esporre la pianta all’aria secca, al sole e al vento in maniera progressiva. Il modo migliore è il seguente.
Innaffiate a fondo la vostra pianta, toglietela dalla tenda umida e mettetela in un luogo ombroso e protetto dal vento. Bagnatela con lo spruzzatore. Regolate un timer o una sveglia che vi avverta quando un’ora sarà trascorsa, e rimettetela sotto la tenda. Ogni giorno, tenete la pianta all’aperto per un’ora di più, così che in capo a due settimane potrà stare all’aperto tutto il tempo.
State attenti al percorso del sole, in modo da essere sicuri che una pianta sistemata all’ombra di mattina non ne riceva poi i raggi diretti nel pomeriggio. Una volta acclimatata la pianta, trovatele un sito definitivo protetto dal vento e illuminato indirettamente dal sole. Pensate ad installare un sistema di innaffiatura a goccia con beccucci spruzzatori per maggior comodità nella cura.
Dati ottimali per la crescita
Terreno
La Salvia divinorum dà il meglio di sé nel terreno ricco e sciolto da vasi e/o nel terriccio, con un buon drenaggio. Noi non usiamo né perlite né vermiculite, ma molti altri coltivatori lo fanno con successo. Evitiamo la terra che contenga qualsiasi legno di sequoia (o resinoso) o schegge di cedro. Abbiamo ottenuto i migliori risultati usando erba falciata leggermente invecchiata (cioè marrone) e appena un po’ di letame bovino maturo mescolati con ottimo terriccio per vasi ricco e scuro, compost e sabbia grossa.
Il terreno negli ambienti tropicali come la Sierra Mazateca contiene una gran quantità di materia organica. Il naturale decadimento di questa materia produce un pH leggermente acido e una certa aerazione del terreno. Abbiamo visto che la S. divinorum cresce benissimo replicando queste condizioni del suolo. Questa è la mistura che usiamo:
- 1 parte di erba falciata invecchiata
- 1 parte di compost
- 1 parte di sabbia grossolana
- 1/2 parte di letame bovino maturo
- 3 parti di terriccio ricco per invasature
Un altro coltivatore di successo che conosciamo (Chomicz 1998) usa il seguente miscuglio con ottimi risultati:
- 2 secchi da 20 litri di fibra di cocco “coir” (oppure di torba nera)
- 1 secchio di sabbia grossolana
- 1 secchio di vermiculite
- 1 secchio di perlite
- 1 secchio di terra ricca
- 1 secchio di compost
- 6 tazze di una mistura in parti uguali di nutrienti organici: fosfato colloidale, sabbia verde (?) e sangue di bue
- 1/2 di tazza di terra calcarea (il doppio se si usa la torba)
Leander Valdés, che ha studiato la S. divinorum all’Università del Michigan, usava la seguente mistura:
- 4 parti di terra ricca
- 2 parti di sfagno
- 1 parte di vermiculite
- 1 parte di perlite
Può darsi che vogliate sperimentare queste formule. Se capita che la vostra terra diventi troppo densa o simile a creta, provate ad aggiungervi un po’ di “patatine” di polistirolo, di quelle usate per imballare le cose fragili. Sbriciolatele con una paletta da giardiniere e mescolatele ben bene al terreno. Questo materiale è completamente inerte e funziona benissimo per alleggerire il terreno (e mischiarvelo procura un’interessante meditazione sulla modernità).
Quale sia la mistura di terra che adopererete, cercate di mantenerne il pH tra 6,1 e 6,6. Possiamo ottenere questo risultato innaffiando circa una volta al mese con Stern’s Miracid o con una soluzione di aceto naturale di mele al 5% (un cucchiaio da tavola per 4 litri circa).
Se la vostra terra è troppo alcalina (più di 7,0) potrete acidificarla mescolandovi piccole quantità di zolfo in polvere o ferro chelato (o Sequestrene). Se invece la vostra terra è troppo acida, aggiungete terreno calcareo o gusci d’ostrica sbriciolati per aumentarne l’alcalinità.
Temperatura
Nell’ambiente naturale della Sierra Mazateca, la temperatura più alta è di 26°C e di solito la media è situata tra i 16 e i 21°C. La S. divinorum cresce al meglio in un clima relativamente fresco e temperato. Sopra i 29°C, una pianta che non sia ben acclimatata o che sia fuori dalla tenda umida mostrerà ben presto segni di avvizzimento. Se la vostra pianta è correttamente acclimatata e/o dentro alla sua tenda, sopporterà senza alcun danno i giorni di calura.
Nelle giornate davvero calde, dovrete semplicemente lasciare in funzione gli spruzzatori più a lungo.
Se la temperatura scende verso il gelo, la S. divinorum muore molto in fretta, appassendo e diventando di un orribile nero nel giro si una notte. Quindi, se vivete in un luogo freddo, dovrete spostare le vostre piante all’interno o in una serra riscaldata durante i mesi più freddi.
Non abbiamo trovato nessuna maniera di resuscitare una pianta gelata. La cosa migliore da fare, se una vostra pianta dovesse restare vittima di una gelata inattesa, è di tagliarla a circa 26 cm dal terreno e sperare che la massa di radici sia sopravvissuta.
Una volta tornate le temperature più miti, la pianta dovrebbe ricrescere - ma molte non lo fanno. (Le piante che riescono a recuperare dopo una gelata spesso lo fanno abbondantemente, per via della gran quantità di radici).
La maggior parte dei coltivatori che tengono le piante al coperto durante l’inverno ottengono il principale raccolto di foglie nella tarda estate.
Questa raccolta di una cospicua quantità di fogliame renderà più facile spostare le altrimenti allampanate piante, riducendo il rischio di danneggiarle. Tagliare le piante a circa 26 cm dal livello del terreno. Si cicatrizzeranno e cresceranno solo un pochino durante l’autunno. Non appena la temperatura si abbasserà, dovrete spostarle sotto le luci artificiali o in una serra riscaldata.
Un’altra opzione invernale consiste nel costringere le piante ad andare in letargo tagliandole e spostandole in un rifugio ben illuminato ma fresco - però non più freddo di 4°C. Con poche foglioline o nessuna del tutto, non avranno bisogno di essere innaffiate che una volta ogni sei settimane (non occorrerà spruzzarle) e potranno resistere per almeno quattro mesi in queste condizioni senza danno (Beifuss 1998). Questa è una buona tecnica per chi desidera prendersi una vacanza dalla cura annuale delle piante.
Spruzzare, annaffiare e nutrire
Ogni pianta ben radicata di Salvia divinorum rende al meglio se viene spruzzata regolarmente. Se avete solo qualche pianta, si può fare con uno spruzzatore a mano pieno di acqua distillata a temperatura ambiente.
La qualità dell’acqua incide marcatamente sulla Salvia divinorum. Si può provare a raccogliere l’acqua piovana, a meno che viviate in una zona soggetta alle piogge acide (testate il pH dell’acqua raccolta prima di usarla).
Evitate l’acqua di rubinetto troppo dura (cioè sopra 150 ppm), o quella con livelli di sodio superiori a 50 ppm (un livello che in qualche municipalità può venire superato senza che venga aggiunto niente per ammorbidirlo). L’acqua sopra questi livelli di durezza ha effetti deleteri sulla Salvia divinorum.
Se avete molte piante, consigliamo di procurarvi uno spruzzatore a pompa. Queste bottiglie contengono due litri d’acqua e hanno una pompa che sporge dal tappo. Dopo aver pompato, emettono uno spruzzo molto fine semplicemente premendone il grilletto; queste bottiglie si trovano anche nei reparti per il giardinaggio dei grandi centri commerciali e costano intorno alle 15.000 lire.
Se le vostre piante crescono all’aperto o sotto una tenda umida, vi raccomandiamo caldamente di mettere in opera un sistema di annaffiatura a gocciolamento dotato di beccucci spruzzatori. Questa è sicuramente la maniera più efficiente per spruzzare le piante. Potete aggiungere al sistema un timer che apra l’acqua per cinque minuti più volte al giorno, o potete aprirla manualmente.
La spruzzatura costante mantiene il terriccio umido in superficie, ma non fate l’errore di pensare che allora non sia necessario annaffiare regolarmente.
Noi bagniamo ogni 7 o 10 giorni le nostre Salvia divinorum con una mistura di emulsione di pesce, secondo le istruzioni riportate sul contenitore. Usiamo Alaska ® “concime di pesce”, che è 5-1-1.
C’è qualche inconveniente nell’uso dell’emulsione di pesce. Come potete immaginare, l’emulsione di pesce puzza, e dovete pensarci seriamente prima di somministrarla alle piante tenute all’interno. Anche per le piante in esterno, l’odore pescioso è abbastanza forte da richiamare gatti vagabondi, cani, opossum e altre bestiole. Quindi, se nutrite le vostre piante con l’emulsione di pesce, assicuratevi che siano in un luogo protetto dove gli animali curiosi non possano raggiungerle! Inoltre, più dei concimi in polvere, questa emulsione sembra attrarre gli insetti infestanti; ma, tutto considerato, resta il concime di nostra scelta.
Più o meno ogni terza annaffiatura, invece dell’emulsione di pesce aggiungiamo un fertilizzante 30-10-10 che contienga ferro chelato, magnesio e zinco per aiutare il terriccio a rimanere leggermente acido.
In inverno si innaffia una volta su tre quanto a frequenza, ma bisogna spruzzare altrettanto spesso che in estate.
Nei suoi esperimenti all’Università del Michigan, Valdés fertilizzava settimanalmente le sue piante con Stern’s Miracle Gro ®, un concime 15-30-15. Per aumentare l’acidità della soluzione, aggiungeva 1 ml di una soluzione all’85% di acido fosforico ogni 20 litri d’acqua. (Valdés et al. 1987).
Non si dovrebbe mai lasciare che il suolo si secchi completamente. Innaffiando una volta ogni dai sette ai dieci giorni, e spruzzando quotidianamente, il terriccio avrà un ciclo dal molto bagnato di subito dopo l’innaffiatura al quasi asciutto del giorno prima di quella successiva. Permettendo all’umidità di compiere questo ciclo si aiuta l’aerazione del terreno e si preservano le radici dal marciume.
Luce
La Salvia divinorum sta meglio nella luce indiretta del sole. Il buon senso dice di evitarne i raggi diretti, e questa è, in senso lato, una buona regola. Abbiamo scoperto, però, che una volta acclimatata, alla Salvia divinorum fa benissimo ricevere un po’ di sole diretto ogni giorno. Una pianta che ne riceva troppo, però, comincerà a produrre foglie più piccole, ruvide e deformi.
Una volta invasate col terriccio, noi coltiviamo tutte le nostre piante alla luce naturale del sole. La sola migliore aggiunta alla luce naturale è una lampada al sodio ad alta pressione (HPS), che è più efficiente a parità di watt di una lampada a filamento metallico e lo spettro luminoso delle lampade HPS contribuisce meglio al radicazione delle nuove talee. Come aggiunta alla luce naturale, una lampada HPS illuminerà un’area primaria di crescita di poco meno di 2 metri quadrati. Per coltivatori con al massimo tre piante, basterà una lampada HPS da 250 watt.
Le piante cresciute esclusivamente sotto una lampada al sodio, però, saranno leggermente più allampanate di quelle cresciute sotto una lampada a filamento metallico. Comunque, se state coltivando la Salvia divinorum senza la luce naturale e volete massimizzare la crescita vegetativa, una lampada a filamento metallico è la scelta migliore (Chomicz 1998).
Valdés riporta che le sue piante stavano bene con lampade fluorescenti VHO a luce bianca e fredda (Valdés et al. 1987). Un altro coltivatore ha usato con successo una lampada da 400 watt a filamento metallico per illuminare un’area di crescita di due metri quadrati e mezzo Beifuss 1997). Riferisce che le foglie erano più chiare, ma questo non pareva danneggiare le piante né avere conseguenze sulla loro potenza.
Quando si usano lampade con molti watt, (HPS o a filamento metallico) bisogna avere cura di appenderle ad almeno settanta cm al di sopra delle piante per evitare di bruciarle. Una sfumatura rossastra sulle foglie indica che la luce è ancora troppo vicina alla cima della pianta. Siccome le lampade a molti watt emettono calore secco, può rendersi necessario un aumento delle spruzzature. Prima, però, proteggete le lampade dagli schizzi e dalle goccioline: le lampade calde possono esplodere se l’acqua le colpisce!
Sotto l’illuminazione artificiale, il fogliame della Salvia divinorum cresce al massimo se esposto a diciotto ore di luce al giorno.
Per ottenere i fiori, la luce, naturale o artificiale che sia, deve essere ridotta a non più di 11 ore al giorno.
Coltivazione idroponica
La Salvia divinorum può essere coltivata col metodo idroponico. Questo come base si serve di uno speciale medium per la crescita al posto del terriccio e di un rudimentale sistema di sgocciolamento fornito da una pompa per acquario da pochi watt che fa colare un rivolo di soluzione nutriente attraverso il medium. La soluzione viene poi recuperata in un serbatoio, ossigenata da una seconda pompa munita di gorgogliatore e rimessa in circolazione.
Sebbene la coltivazione idroponica richieda attenzioni extra, almeno un coltivatore di grande successo, Mr. Andrew Chomicz, afferma che le cure in più sono ricompensate dagli eccellenti risultati. Le seguenti sezioni derivano dalla sua esplorazione estensiva dei metodi per l’idrocoltura della Salvia divinorum.
Medium di crescita
La Salvia divinorum cresce bene in un miscuglio 75/25 di palline di argilla espansa e fibre di cocco (“coconut coir”). Le palline di argilla espansa fabbricata appositamente per le colture idroponiche offrono più ossigenazione della lana di roccia e sono più amichevoli con l’ambiente delle lastre di quest’ultima. La fibra di cocco ha sfondato recentemente nella coltura idroponica ˆ un’alternativa benvenuta a materiali come la torba (che spesso viene raschiata via rovinando selvaggiamente delicati ambienti di palude).
Le fibre di cocco sono un prodotto completamente naturale derivato dal vasto filone degli usi commerciali della palma. Queste fibre trattengono in modo eccellente tanto l’ossigeno che l’acqua, provvedendo così all’aerazione. Aiutano anche a mantenere stabile il pH e fanno da tampone contro le fluttuazioni degli elementi nutritivi o le temporanee disfunzioni dell’equipaggiamento. Sembrano anche scoraggiare certi agenti patogeni delle piante.
Mr. Chomicz ha sperimentato anche l’acquacoltura ˆ un sistema che fa completamente a meno di un medium di crescita solido. Nell’acquacoltura, le radici delle piante vengono sospese o galleggiano in un bagno di liquido nutriente costantemente ossigenato e riciclato.
Una tecnica simile, conosciuta come “tecnica della pellicola nutriente” (NFT) si serve di canali, tubi o grondaie nei quali le piante sono appese e attraverso i quali circola costantemente una sottile pellicola di elementi nutritivi.
Un sistema ancor più minimale, chiamato “aeroponica”, spruzza costantemente le radici con la soluzione nutriente. Siccome l’aeroponica somministra una soluzione fortemente ossigenata, si dice che la Salvia divinorum coltivata così riesca notevolmente bene. L’inconveniente peggiore, però, è che un sistema aeroponico deve funzionare infallibilmente. Il minimo intoppo (come un’interruzione di corrente o un beccuccio intasato) significa il disastro: perché, senza un medium di crescita che trattenga l’acqua, le radici si asciugano velocemente e subiscono danni potenzialmente irrimediabili.
Gestione delle sostanze nutrienti
Esistono parecchie marche di appositi fertilizzanti per le colture idroponiche. Non c’è una formula particolarmente adatta alla Salvia divinorum. Siccome essa sembra apprezzare i media ricchi di minerali, cercate una preparazione che contenga micro-elementi in aggiunta al profilo usuale di macro elementi.
Usate una formula intesa per la crescita vegetativa e seguite le istruzioni per preparare la soluzione. Se il fabbricante indica dosaggi proporzionali diversi per raccolti specifici, otterrete buoni risultati seguendo quelli indicati per la lattuga o altri prodotti da foglia. Se avete un ECmetro (uno strumento che misura l’elettroconduttività, che è una funzione della concentrazione dei sali fertilizzanti disciolti nella soluzione nutritiva) puntate a un livello EC che sia tra 1.6 e 2.4.
E’ molto importante sostituire regolarmente la soluzione nutriente. Quando le piante stanno crescendo attivamente, ciò significa cambiare la soluzione una volta ogni dalle quattro alle sei settimane.
Mentre la soluzione nutriente viene recuperata in un serbatoio e riciclata, la quantità di liquido in circolazione diminuirà lentamente a causa dell’evaporazione e della respirazione delle piante. Rabboccate il serbatoio con una soluzione nutriente diluita del doppio. Usare una soluzione a mezza forza aiuterà ad evitare l’accumulo eccessivo di nutrienti mentre rimpiazzerà quelli esauriti.
Le radici della Salvia divinorum amano l’ossigeno. Per questo motivo, è bene riossigenare la soluzione quando viene recuperata. Questo si ottiene facilmente usando una seconda pompa da acquario equipaggiata con un gorgogliatore sistemato nel serbatoio.
Vi potete anche avvantaggiare del fatto che l’ossigeno si scioglie meglio nell’acqua fredda. In generale, più sarà fredda l’acqua, più alto sarà il suo contenuto di ossigeno. Semplicemente tenendo al fresco la vostra soluzione nutriente, ne aumenterete il contenuto di ossigeno procurando un notevole benessere alle vostre piante.
La temperatura ottimale della soluzione nutriente sta tra i 18 e i 21 C°. Usarla molto più tiepida causa stress alle piante e attira patogeni seri come il fungo pythium che fa marcire le radici. Quindi è importante che teniate il serbatoio lontano dal sole diretto dalla tarda primavera al primo autunno.
In inverno, può rendersi necessario scaldare leggermente la soluzione. Si può mettere un riscaldatore da acquario nel serbatoio oppure usare un serbatoio di colore scuro che assorba i raggi del sole.
PH
La coltura idroponica richiede un’estrema attenzione al pH della soluzione nutritiva. Per il medium di argilla espansa e fibre di cocco, un pH tra 5.5 e 6.0 è ottimo. Per la lana di roccia, una soluzione più alcalina tra 6.0 e 6.3 è più adatta a contrastare l’intrusione acidificante della struttura minerale della lana di roccia.
Le economicissime striscioline di carta per il test del pH sono il modo migliore di monitorare il pH della soluzione, senza investire in strumenti di misurazione più costosi. (quelli di basso costo sono notoriamente imprecisi e inaffidabili).
Si può usare l’acido fosforico per abbassare il pH, mentre l’aggiunta di idrossido di potassio lo innalzerà. Il pH della soluzione va controllato almeno ogni tre giorni e immediatamente corretto se necessario.
Infestazioni
Ci sono molti insetti che solitamente banchettano sulla Salvia divinorum e che, se non vengono tenuti sotto controllo, possono stressare seriamente la pianta o, in casi estremi, provarla fatalmente. Noi evitiamo tutti i pesticidi inorganici e vi raccomandiamo caldamente di fare lo stesso. Tutti gli infestanti più comuni della Salvia divinorum sono relativamente facili da controllare, e un giardiniere attento dovrebbe accorgersi della loro comparsa prima che qualsiasi invasione diventi critica. Ciascuno dei parassiti più comuni verrà illustrato più avanti con i suggerimenti specifici per debellarlo.
In aggiunta alle tattiche di contenimento specifiche che discuteremo poi, abbiamo avuto molto successo nel controllo degli afidi e dei moscerini bianchi spruzzando la seguente soluzione sulle foglie dovunque notassimo un’infestazione. La soluzione, che non nuoce alla Salvia divinorum, è atossica:
- 4 parti di acqua
- 1 parte di alcool per frizioni
- 1 parte di sapone di Marsiglia liquido
Se le vostre piante sono state infestate dalle uova dei moscerini bianchi, provate a lavarle via con sapone di Marsiglia liquido. E’ un procedimento intensamente laborioso, ma è una fatica d’amore. Immergete le mani in una ciotola di sapone liquido e strofinate delicatamente le foglie infestate tra il pollice e le altre dita, sloggiando così le uova. Spruzzate via il sapone con l’acqua di uno spruzzatore a bottiglia. Non preoccupatevi delle ricadute o residui saponosi rimasti sulle foglie. Sono innocui.
In casi estremi di infestazione, la piretrina (aka pyrethrum) può essere chiamata in causa. E’ un prodotto naturale estratto dai fiori di Chrysanthemum. (Le versioni sintetiche si chiamano piretroidi). La piretrina è un veleno nervino per gli insetti e viene comunemente impiegata contro le pesti di frutta e verdura. Tuttavia uccide gli insetti in maniera indiscriminata, portando un soffio mortale anche a quelli benefici come le coccinelle.
La piretrina è l’ingrediente attivo di molti prodotti in commercio etichettati come sicuri per l’uso su frutta e verdura. Anche se è organica e di uso comune sui raccolti destinati all’alimentazione, per eccesso di precauzione vi raccomandiamo di usarla in ultima risorsa. E’ moderatamente tossica per i mammiferi e può scatenare la febbre da fieno in certe persone. Sempre per eccesso di precauzione, vi raccomandiamo di evitare qualsiasi prodotto contenga piperonyl butoxide (BTO), un additivo sinergistico che incrementa l’efficacia della piretrina ma che può avere effetti deleteri sul sistema nervoso umano.
Moscerini bianchi
I moscerini bianchi (Trialeurodes vaporariorum) parassitano la Salvia divinorum e, se non vengono tenuti sotto controllo, possono indebolire notevolmente la pianta. Probabilmente non ve ne accorgerete finché, sfregando contro una foglia, noterete all’improvviso certe macchioline bianche volanti lunghe circa 1 mm.
I moscerini bianchi si radunano sulla faccia inferiore delle foglie e vi depongono le uova. Essi danneggiano la pianta succhiandone la linfa e producendo una secrezione simile a melata che può ammuffire.
Per controllare i moscerini bianchi (e, in misura minore, gli afidi) sfruttiamo la loro attrazione naturale per il giallo. Una ditta chiamata SureFire produce certe trappole di cartone giallo appiccicoso, atossico, che funzionano benissimo. I parassiti vengono attirati dai cartoncini colorati di giallo, ma si appiccicano alla superficie non appena vi si posano. Noi li teniamo appesi intorno a tutte le nostre Salvia divinorum per tutto l’anno.
Una nuova ricerca dell’Università della California dice che, mettendo carta stagnola sul terreno intorno alle piante insidiate dai moscerini, i parassiti si confondono, forse perché la stagnola riflette il cielo ed essi “pensano” di trovarsi sul lato sbagliato delle foglie. In ogni modo, pare che questo trucco impedisca ai moscerini di posarsi. Questa informazione ci giunge nuova e stiamo iniziando un giro di prove nei nostri giardini.
Se le vostre piante crescono in un ambiente chiuso, come la tenda a umidità o una mini serra, le vespe Encarsia formosa sono efficacissime nel controllare le infestazioni di moscerini. (queste vespe sono molto piccole e non pungono le persone). Le vespe depongono le proprie uova nelle pupe di moscerino in via di sviluppo, uccidendole. Il biocontrollo ad opera dell’E. formosa, però, funziona meglio nei mesi estivi più caldi.
Ragnetti
I ragnetti (Tetrancychidae, spp) possono rappresentare un problema per le Salvia divinorum, soprattutto se le piante vivono in serra o sotto una tenda umida.
Di solito ci si accorge dei ragnetti perché provocano delle macchioline gialle sulla superficie superiore delle foglie e, (nei casi più gravi) tessono una ragnatela intorno ai germogli e fanno diventare le foglie marroni. Ispezionando la faccia inferiore delle foglie, vedrete degli insettini della misura di una capocchia di spillo gialli, bruni o verdastri con macchie scure su ogni spalla.
Un biocontrollo efficace per i ragnetti sono i Phytoseiulus persimilis, insetti che li divorano vendicativamente. Questi predatori carnivori non mangiano né la Salvia divinorum né altre piante.
Afidi
Il segno rivelatore della presenza degli afidi (Aphididae, spp) sulla Salvia divinorum sono le foglie giovani e tenere che si presentano grinzose e arricciate. Dopo ispezione, troverete gli insetti verdi (di solito) e dal corpo soffice raggruppati sui germogli e sul lato inferiore delle foglie. Gli afidi portano malattie delle piante e, come i moscerini bianchi, indeboliscono la Salvia divinorum succhiandone la linfa e secernendo una melata che attira la muffa.
Abbiamo avuto molto successo nel controllo degli afidi usando la mistura alcolico-saponosa descritta all’inizio del capitolo.
Se siete amanti delle coccinelle (Hippodamia convergens), o dovete affrontare una seria invasione di afidi, l’introduzione di questi coleotteri risolve quasi sempre il problema senza danni per le piante. Come tutti i biocontrollori, le coccinelle lavorano meglio in un ambiente chiuso, come la serra o la tenda.
Cocciniglia
Sebbene non abbiamo mai subito attacchi da queste creature, abbiamo sentito di molte Salvia divinorum infestate dalla cocciniglia (Coccidae, spp).
Le cocciniglie sono insetti, ma, tranne il primissimo stadio di sviluppo, somigliano piuttosto a piccolissime patelle attaccate al lato inferiore delle foglie. Possono essere di qualsiasi colore, e danneggiano la pianta succhiandone la linfa e iniettando nei suoi tessuti un fluido tossico.
Non siamo al corrente di nessun biocontrollore efficace contro le cocciniglie, ma per fortuna possono essere facilmente eliminate spruzzandole con la solita mistura alcolico-saponosa. Può essere necessario rimuovere fisicamente le cocciniglie più ostinate strofinandole come si fa per le uova dei moscerini bianchi.
Lumache
Le lumache possono danneggiare in fretta una Salvia divinorum, mangiando via grosse porzioni di foglia nell’arco di una notte. Di solito le lumache scompaiono durante le ore di luce.
Il rame sottile (0,5 mm) è stato usato per decenni dai giardinieri per formare una linea che le lumache non possono attraversare. Fogli o nastri di rame vengono venduti a questo scopo nella maggior parte dei negozi per il giardinaggio. Attaccatelo col nastro adesivo intorno all’orlo dei vasi o inseritelo di taglio nel terreno in modo da costruire un recinto di rame alla base delle vostre piante. Siccome esso procura uno shock elettrochimico alle lumache, funzionerà finché rimarrà lucente. Lucidatelo o cambiatelo quando l’ossidazione l’avrà reso opaco (di solito ci vuole almeno un anno).
Mentre applicate la vostra barriera di rame, ispezionate accuratamente il rovescio di ogni foglia perché una lumaca potrebbe esservisi nascosta e, una volta all’interno della barriera, niente le impedirà di mangiarsi le vostre piante.
Problemi
Bordi delle foglie che diventano marroni
La maggior parte di chi coltiva la Salvia divinorum troverà, una volta o l’altra, una pianta con le punte e i bordi delle foglie che diventano marroni senza un motivo apparente. Di solito questo imbrunimento rimane confinato alle punte e ai bordi, ma talvolta può riempire foglie intere e diventare un problema. Per quanto ne sappiamo, nessuno è stato ancora capace di individuare la causa ultima di questo fenomeno.
Certi coltivatori suppongono che certi problemi delle Salvia divinorum siano connaturati e restino latenti finché la pianta non subisce uno stress sufficiente a far emergere il disturbo. Questo disturbo connaturato, probabilmente dovuto a un virus, può forse essere insorto nella Salvia divinorum a causa dell’intensiva clonazione che questa ha subito. Il genotipo statico della pianta può aver permesso a un virus che scurisce le foglie di formarsi nell’organismo ˆ qualcosa che forse non si sarebbe sviluppato se la riproduzione della pianta fosse avvenuta attraverso il normale miscuglio di materiale geneticamente vario.
Se questa teoria è giusta, il fenomeno dei bordi marroni può essere soltanto oggetto di prevenzione, mantenendo le vostre piante in condizioni ottimali di crescita e senza che siano sottoposte a stress. Comunque, ci siamo accorti che questo fenomeno della colorazione marrone colpisce quasi esclusivamente piante deboli o sotto stress. Le cause di tale stress sono svariate.
Certamente, una pianta che venga rimossa da un ambiente a umidità controllata senza un’appropriata acclimatazione potrà sviluppare foglie marroni, ma, più comunemente, l’intera pianta appassisce e le foglie cadono. Di solito, il fenomeno delle foglie scurite non comporta l’appassimento.
Abbiamo osservato che questo disturbo è più comune tra le piante che abbiano trascorso l’intera esistenza dentro una camera o tenda umida di plastica o di vetro. In questi casi, sospettiamo che l’annerimento possa essere il risultato di una scarsa circolazione dell’aria. Una pianta cresciuta in un ambiente stagnante la cui temperatura raggiunge i 32 C° può sviluppare foglie marroni - forse perché le sue capacità di traspirazione si sono ridotte. Analogamente alla tendenza del nostro stesso corpo a surriscaldarsi negli ambienti caldi e umidi poco ventilati, la pianta può surriscaldarsi a causa di un’insufficiente capacità di traspirare in modo efficace.
Anche l’uso di troppo o troppo poco fertilizzante può incoraggiare l’annerimento delle foglie. Su molti esemplari, la presenza di foglie dalla punta marrone indica che stanno ricevendo troppo concime. Se disciolti in acqua inadatta, i sali chimici possono aggregarsi nel suolo e questo brucia le punte tenere delle foglie. La cura consiste nel ridurre le dosi di fertilizzante e sciacquare il terreno con acqua pura.
Le foglie marroni possono anche essere dovute alle radici marcite di una pianta troppo annaffiata con drenaggio insufficiente o terreno troppo compatto. Se il problema sono le radici marce, provate a trapiantare la pianta in terriccio leggero e ben drenato e innaffiatela parsimoniosamente per un certo periodo.
Infine, anche una pianta dalle radici costrette mostra annerimenti delle foglie, sebbene le radici costrette vengano rivelate, più solitamente, da una notevole riduzione del ritmo di crescita della pianta e da un aspetto generale miserando.
Siccome la causa del fenomeno delle foglie che diventano marroni è ancora sconosciuta, la cura resta un enigma. Il vecchio adagio che dice che “la miglior cura è la prevenzione” viene certo a proposito.
Foglie gialle
Una Salvia divinorum dalle foglie ingiallite di solito significa che la pianta sta ricevendo troppa acqua. L’eccessiva innaffiatura lava via i nutrienti di cui la pianta si serve per creare la clorofilla ˆ Il pigmento verde che assorbe l’energia solare. Abbiamo osservato questo problema tra le Salvia divinorum della costa occidentale che venivano lasciate all’aperto durante la stagione piovosa invernale. Per rinverdire le foglie, riducete l’acqua e nutrite le foglie col ferro chelato (liquido o in polvere) secondo le istruzioni riportate sulla confezione. Concimare con Stern’s Miracid, che contiene ferro chelato e altri nutrimenti, di solito risolve il problema.
Crescita lenta e aspetto miserevole
In condizioni ottimali, la Salvia divinorum cresce in fretta, talvolta più di trenta centimetri al mese in estate. Le sue radici possono trovarsi rapidamente costrette in un vaso piccolo. Così, quando la vostra pianta inizierà ad aumentare di dimensioni, farete bene a rinvasarla in vasi sempre più grandi. Se a un certo punto la vostra pianta sembra aver rallentato la crescita ma le condizioni sono per il resto ottime, questo probabilmente significa che le radici sono ormai allo stretto ed è ora di trapiantarla in un vaso più grande.
Potare per la massima produzione di foglie
Non vorremmo suonare venali, ma, per la maggior parte della gente, lo scopo del gioco nel coltivare la Salvia divinorum consiste nel massimizzare la quantità di foglie raccolte. Questo richiede la potatura.
Il periodo migliore per potare è durante la primavera e l’estate, quando la pianta cresce più velocemente. Per farne un cespuglio, così che produca più foglie, usate una lama affilata per tagliar via le cime degli steli più grandi. Praticate il taglio subito al di sopra di un nodo. Questo obbligherà lo stelo a biforcarsi in quel punto nelle direzioni delle foglie nodali.
Non sprecate le preziose cime tagliate via con la potatura: possono venir fatte radicare e ripiantate. In effetti, quando potate dovreste tenere pronti i vasetti per il radicazione.
Raccogliere le foglie
Una volta che la vostra Salvia divinorum si sia ben stabilizzata, potrà sopportare prelievi significativi di foglie e trarne un reale giovamento. Molti coltivatori rimuovono regolarmente le foglie dalle loro piante, cogliendole quando hanno raggiunto le massime dimensioni, quando si affollano le une sulle altre o quando iniziano ad apparire deformate.
Questa tecnica può tenere un singolo consumatore costantemente rifornito di foglie fresche e secche.
La Salvia divinorum è una pianta sacra alleata, e vale la pena di ricordarselo quando si raccolgono le sue foglie. Nella nostra esperienza, rivolgere una preghiera alla pianta prima di prendere una foglia e restare attenti, sensibili e grati mentre le si colgono può avere effetto sulle loro proprietà visionarie e divinatorie. Così si mostra anche il rispetto dovuto a un’altra forma di vita - un rispetto chiaramente meritato dalla Salvia divinorum.
Le nostre bioanalisi sulla foglia masticata o fumata non hanno rivelato differenze sostanziali nella potenza dovute all’epoca del raccolto. Abbiamo solo rilevato un leggero aumento della potenza subito prima che la pianta fiorisca. La saggezza popolare, tuttavia, vuole che la potenza sia maggiore durante i lunghi e caldi giorni estivi. Vi suggeriamo di condurre i vostri esperimenti personali per trovare il momento migliore per il raccolto.
Essiccare le foglie
Le foglie fresche della Salvia divinorum possono, ovviamente, essere usate per scopi visionari e divinatori. I Mazatec tradizionalmente usano solo le foglie fresche. Le foglie secche, però, sono altrettanto attive e possono essere riposte per usi futuri.
Essiccare correttamente le foglie è importantissimo. Tutto il vostro lavoro può essere vanificato se le foglie raccolte marciscono, ammuffiscono o vengono sottoposte a condizioni che ne alterino i componenti chimici naturali. Per fortuna il principio attivo salvinorin A è molto stabile e può resistere a un certo grado di rude manipolazione. Ciononostante, è importante conservare le foglie in modo che subiscano il meno possibile di cambiamenti chimici. In definitiva, dovete semplicemente eliminare tutto il contenuto acquoso lasciando invariato tutto il resto. Questo può essere ottenuto rapidamente mettendo le foglie in forno alla temperatura minima - inferiore ai 93 C° - che le asciuga nel giro di un quarto d’ora.
Per un’essiccazione lenta, esistono più sistemi. Uno consiste nel mettere le foglie raccolte in una scatola di cartone e riporre la scatola all’ombra in un luogo ben aerato. E’ meglio scegliere una giornata in cui la temperatura sia tra i 26 e i 38 C°. La scatola va scossa più volte al giorno in modo da esporre all’aria superfici sempre diverse. Di notte può esserci bisogno di riparare la scatola al coperto per evitare la rugiada; le foglie si seccheranno in pochi giorni.
Un altro metodo è quello di disporre le foglie tra i telai delle finestre e sistemare un ventilatore a bassa potenza che soffi una corrente costante sopra e attraverso i telai.
Infine, ci si può servire di un essiccatore per uso alimentare regolato sulla temperatura media, intorno ai 63 C°. Con questo sistema, le foglie si essiccheranno in circa tre ore mantenendo in gran parte il colore verde.
Quale sia il metodo, le foglie saranno secche una volta diventate croccanti e facili da sbriciolare. Dopo, vanno tenute in barattoli di vetro a tenuta d’aria e riposte in luogo fresco, asciutto e buio. In media, le foglie contengono più dell’80% di acqua, così che da una trentina di grammi di foglie fresche si ricavano circa sei grammi e mezzo di prodotto secco.
Gli steli e le radici della Salvia divinorum contengono quantità infime di salvinorin A, e non vale la pena di servirsene a scopi visionari.
Produrre i semi
Quando Wasson e Hofmann ricevettero gli esemplari di Salvia divinorum da Natividad Rosa ai primi di ottobre, molte piante erano fiorite. Nel pieno sviluppo, le corolle di questa pianta sono bianche con calici e stami viola. (Come altri hanno fatto notare da allora, i primi disegni e descrizioni dei fiori li indicano erroneamente come azzurri).
L’aroma dei fiori della Salvia divinorum è sottile ma squisito. Aaron Reisfield, un botanico che si è recato più volte nella Sierra Mazatec per cercare la Salvia divinorum, ha riferito di averla vista in fiore da ottobre a maggio (Reisfield 1993).
Valdés le ha viste fiorire dal tardo agosto a marzo nella Sierra Mazatec, un periodo dell’anno nel quale in Messico le giornate sono corte (Valdés et al. 1987).
Gli esperimenti di Valdés all’Università del Michigan hanno dimostrato che la pianta può essere indotta a fiorire abbreviando il fotoperiodo a undici ore di luce su ventiquattro. (Valdés et al. 1987). Introdurre qualsiasi luce durante il “periodo buio” inibirà la fioritura, che se viene permessa (assumendo che non stiate provando a produrre i semi) distoglie inutilmente le energie della pianta dalla produzione di foglie.
Sulla costa occidentale degli USA, la Salvia divinorum cresciuta all’aperto (ma sotto una tenda umida) fiorisce dalla fine di ottobre all’inizio di gennaio (Boire 1997). Mentre è relativamente facile ottenere che la pianta fiorisca, non lo è per niente ricavarne semi vitali. Come detto in precedenza, non è mai stata osservata una pianta che producesse semi allo stato selvatico. Noi crediamo infatti che abbia scelto un sistema diverso per propagarsi e che la sua rara produzione di semi sia residuale.
Senza il sostegno di un graticcio naturale o appositamente costruito, la Salvia divinorum con i suoi steli lunghi e sottili tende a ripiegarsi quando raggiunge il metro e mezzo/due di statura. I punti in cui gli steli toccano terra producono radici se vi è sufficiente umidità. In questo modo la pianta si riproduce e striscia lentamente. E, naturalmente, il suo programma riproduttivo più importante è stata la simbiosi con gli amici umani. Secondo noi, cercare di far produrre i semi alla Salvia divinorum è una guerra contro la natura di questa pianta.
Comunque, semi vitali possono essere ottenuti mediante l’impollinazione manuale. Per fare questo, una volta fiorita la vostra pianta, togliete con cautela alcuni stami da un fiore e strofinatene immediatamente le estremità contro le superfici interne di entrambi i bracci dello stigma. Dovreste riuscire a vedere i granellini di polline che vi aderiscono.
Sperimentate impollinando un fiore con i suoi stessi stami, vari fiori sulla stessa pianta, e usando gli stami di una pianta per impollinare gli stigmi di un’altra. Non restateci male se avrete poco successo. Esperti botanici che hanno eseguito questi procedimenti nelle migliori condizioni hanno ottenuto percentuali di riuscita misere - meno del cinque per cento delle impollinazioni riuscite hanno prodotto semi vitali. (Reisfield 1993).
Prendere le talee
Propagare la Salvia divinorum prendendone le talee è un procedimento molto più semplice che costringere la pianta a produrre i semi. Sebbene si possano prendere in qualsiasi periodo dell’anno, abbiamo scoperto che quelle tagliate in autunno e in inverno producono le radici più lentamente; così è meglio preparare le talee in primavera e in estate. Abbiamo anche scoperto che è d’aiuto eseguire i tagli con poca luce ambiente, in modo che gli stomi (sorta di pori) delle foglie siano chiusi e le foglie ben turgide.
Per tagliare una talea a scopo riproduttivo, preparate un vasetto da radicazione pieno d’acqua distillata a temperatura ambiente vicino alla pianta madre. Usate forbici affilatissime o una lametta per rimuovere un tratto di stelo che contenga almeno due nodi fogliari. Le cime nuove e vigorose sono le migliori, ma anche i segmenti a metà stelo faranno le radici.
Tagliate subito sotto un nodo. Togliete tutte le foglie al di sotto del nodo più alto e mettete immediatamente la talea nel vasetto che avrete preparato; adesso, rivolgete la vostra attenzione allo stelo tagliato della pianta madre: bisogna tagliarne via un pezzetto subito al di sopra del nodo più alto rimasto.