Autore | Nectar |
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Sostanza assunta | Ayahuasca |
Via di somministrazione | orale |
Quantità | 50 g di Banisteriopsis caapi Black e 5 g di Mimosa tenuiflora |
Incontro con l'Ayahuasca - Psiconauti |
Setting: casa, 14/7/2017
Mezz'ora dopo avere bevuto l'Ayahuasca, sono seduto in giardino in attesa dei primi effetti.
Inizio a sentire un suono, una specie di ronzio profondo, che non arriva da nessuna direzione precisa ma allo stesso tempo avvolge ogni cosa. All’inizio è leggero, quasi impercettibile, ma con il passare dei minuti continua a crescere in intensità.
Cerco di stare tranquillo e di lasciarmi andare, ma quel suono si fa sempre più assordante, finché non riesco più a sentire nient’altro e tutta la realtà comincia a vibrare sotto il suo peso.
Sento che sto perdendo il controllo e sono spaventato, perché so che questo è solo l’inizio del viaggio e che ormai non posso più tornare indietro. Allora provo a rientrare in casa, pensando che forse cambiando ambiente riuscirò a calmarmi, ma non serve a niente perché anche dentro casa la vibrazione diventa sempre più pesante. Ovunque guardo vedo cerchi concentrici di colore verde, simili a onde create da un sasso lanciato nell’acqua, che deformano tutta la stanza: tutto questo mi dà un forte senso di nausea e mi fa perdere l’equilibrio, così tanto che devo reggermi alle pareti per camminare.
Vado verso il frigorifero per prendere un po’ di frutta, visto che di solito mangiare qualcosa mi aiuta a far passare l'ansia, ma all’improvviso sento un colpo forte alla schiena e mi accorgo di essere caduto. Provo a rialzarmi ma non ci riesco, perché la nausea cresce a ogni minimo movimento che faccio. Lentamente e senza mai alzarmi in piedi riesco ad arrivare in bagno. Vomito più volte, senza stare meglio, e quando ho finito mi sdraio sul pavimento.
Sto tremando e sudando freddo e sento il cuore che batte forte e veloce nel petto. La mia vista si è fatta così offuscata che non riconosco più cosa ho intorno: sono a occhi aperti ma è tutto scuro e confuso. In alcuni momenti dall’oscurità emergono esseri inquietanti, che sembrano ibridi fra varie specie animali, che mi dicono di rilassarmi.
Mi sento uno stupido, perché solo ora capisco che questo non era né il momento né il modo giusto di prendere l’Ayahuasca: quelle che mi sembravano buone intenzioni in realtà erano solo tentativi di giustificare la mia curiosità, la mia ricerca di sensazioni nuove.
Nella mia mente rivedo istanti della mia vita, eventi passati a cui non avevo mai dato importanza, ma che ora mi sembrano tutti significativi e concatenati fra loro. Sento che non ho mai avuto nessun controllo sul loro verificarsi, come se già dalla nascita io fossi destinato a vivere tutte quelle esperienze, una dopo l’altra, fino a quella che sto vivendo in questo momento. Mi sento intrappolato in un ciclo senza fine, senza via d’uscita, condannato a fare sempre le stesse cose e a ripetere sempre gli stessi errori.
Mentre osservo la mia vita dall’esterno, vedo le innumerevoli immagini di me stesso con cui mi sono identificato nel corso degli anni. Non mi riconosco in nessuna di quelle persone. Anche quello che sono oggi, o meglio che ero fino a poco fa, mi sembra solo un’immagine vuota. Ma nel profondo di me stesso sento una voce interiore, che riconosco come la mia vera essenza. Rivolgendosi al me stesso confuso e spaventato del presente dice: “Non opporre resistenza, tutto questo è per amore. Ho ancora molto da insegnarti”.
Gradualmente recupero il senso della vista, ritrovandomi in una foresta.
Sono seduto sulla riva di un fiume e i rami degli alberi che mi circondato si intrecciano formando volti umani che mi guardano dall’alto. Nonostante il loro aspetto inquietante mi sento calmo e al sicuro e inizio a camminare nella direzione in cui scorre il fiume, fino a entrare in una radura.
Qui incontro una giovane donna, che mi sorride come se mi conoscesse da molto tempo, mentre fumo denso di tabacco si sprigiona da una sigaretta accesa nella sua mano destra e avvolge ogni cosa.
La foresta inizia a popolarsi di un’infinità di forme di vita e la mia attenzione è catturata da un gruppo di colibrì blu-verdi, che volano di fiore in fiore per berne il nettare. Sono così belli che non riesco a smettere di guardarli.
Si avvicinano e volano intorno a me, formando un vortice di penne iridescenti, un disegno geometrico in movimento che diventa sempre più complesso e dettagliato. I confini fra le cose sfumano, tutto quello che ho intorno passa in secondo piano e rimangono solo quelle linee sottili, che ora appaiono come raggi di luce di colori mai visti prima: si riflettono senza mai piegarsi, come scorrendo sulle superfici di un prisma con più di tre dimensioni spaziali, e sfociano in una luce bianca che si estende all’infinito, senza centro e senza direzioni, mentre il tempo si riduce a un singolo istante eterno.
Sciogliendomi in quell’oceano di luce mi dimentico che cosa significa essere me stesso, essere umano, essere vivo: provo una sensazione di unione totale, la sensazione più bella e profonda che io abbia mai provato, e divento quella sensazione, divento niente e tutto, nessuno dei due ed entrambi, e perdendo ogni cosa ritrovo ogni cosa.
Quando quell’istante finisce, la prima cosa che vedo è la sagoma semitrasparente del mio corpo, attraversata da una rete di linee luminose. Sull’addome, dietro l’ombelico, queste linee si intrecciano in un vortice di forma sferica, che ruota su se stesso diventando sempre più grande. Emana una forte luce giallo-dorata e continua a espandersi, finché non mi avvolge completamente nel suo movimento, come un portale che conduce in un altro mondo.
Vista dall’interno, la sfera è un tempio immenso, con infinite stanze elicoidali, e io mi trovo al centro di una di quelle sale.
Di fronte a me c’è una donna bellissima, con la pelle dorata e gli occhi color ambra, e lunghi capelli che alle estremità si fondono con la struttura del tempio. Si accorge subito della mia presenza, ma non sembra sorpresa: mi guarda come se mi conoscesse da sempre. Si avvicina a me e posa le sue labbra sul mio orecchio destro, come se volesse rivelarmi un segreto. Inizia a sussurrare e io mi sforzo di capire quello che mi dice, ma non ci riesco perché sono parole di una lingua sconosciuta.
Allora mi giro per guardarla negli occhi, sperando di ricevere una spiegazione, ma lei scoppia a ridere e in quel momento vengo travolto da una fortissima sensazione di gioia. Mi ricordo di questo posto e di lei: non so dire quando, ma sono già stato qui e l’ho già incontrata. Come ho fatto a dimenticare?
Non ho il tempo di darmi una risposta, perché la donna all’improvviso si allontana e si nasconde dietro una delle arcate del tempio, che nello stesso modo in cui si è formato inizia a disintegrarsi. Tutto inizia a ruotare e le sue pareti si aprono come petali di un fiore che sboccia, rivelando un paesaggio sconfinato: un cielo cristallino con i riflessi dorati dell’alba.
Vedo la vegetazione che circonda il tempio e a pochi metri da me un giaguaro sdraiato per terra, con la testa sollevata e lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. In lontananza, fin dove riesco a vedere, ci sono le cupole sferiche di tanti altri templi: sono sospesi nel cielo, immersi nelle nuvole, e ognuno è identico a tutti gli altri, circondato dalla vegetazione e sorvegliato da un giaguaro.
Quello che vedo si fa sempre meno nitido. Mentre prima era iperreale, ora è simile a un sogno e io mi sento sospeso fra due mondi. Mentre la realtà ordinaria riappare, vedo ancora quel paesaggio dai riflessi dorati, come se fosse un velo davanti ai miei occhi, finché non si dissolve completamente.